CARRI DI GEDEONE
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CARRI DI GEDEONE

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IL CONTESTO

Ci siamo. Israele dà il via a quella che, nelle intenzioni del governo Netanyahu, dovrebbe essere l’offensiva finale contro Hamas: un’invasione di Gaza volta a garantirne il controllo permanente.

La decisione, approvata all’unanimità dal gabinetto di sicurezza due settimane fa, entra ora nella sua fase esecutiva.

Siamo di fronte a un punto di svolta nel conflitto israelo-palestinese.

Il risultato è tutt’altro che scontato e il prezzo politico che Israele rischia di pagare sul piano internazionale sarà altissimo.

Per Netanyahu questa è la battaglia della vita, la battaglia per la sopravvivenza stessa dello Stato di Israele.

Il momento è storico e drammatico.

Sarà fondamentale monitorare da vicino l’evoluzione degli eventi nelle prossime settimane.

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IL CONTENUTO ORIGINALE

Di: @dariodangelo91

       

🚨🪖🇮🇱Attenzione. L’esercito israeliano annuncia di aver lanciato le prime fasi dell'attesa offensiva “Carri di Gedeone” nella Striscia di Gaza.

Condotti ampi attacchi e mobilitate forze aggiuntive per prendere possesso di aree strategiche finora sotto il controllo di Hamas.

Siamo in presenza di una chiara espansione della campagna militare, presentata dal governo Netanhyahu come necessaria per il perseguimento di tutti gli obiettivi di guerra, inclusa la sconfitta totale dell’organizzazione terroristica palestinese e il rilascio degli ostaggi.

Secondo i funzionari israeliani, l'offensiva vedrebbe le IDF "conquistare" Gaza e mantenere il controllo del territorio a tempo indeterminato; spostare la popolazione civile palestinese verso il sud della Striscia; attaccare Hamas e impedire al gruppo terroristico di prendere il controllo delle forniture di aiuti umanitari.

Promemoria: non si tratta di un‘iniziativa estemporanea. Ormai quasi due settimane fa, il gabinetto di sicurezza israeliano ha votato all’unanimità per quella che molti funzionari israeliani considerano una sorta di “opzione nucleare”: la conquista di Gaza.

Secondo i piani operativi, se entro la fine del viaggio in Medio Oriente di Donald Trump non fosse stato siglato un accordo per il rilascio degli ostaggi, quattro o cinque divisioni corazzate e di fanteria si sarebbero inoltrate nella Striscia, spianando le costruzioni rimaste in piedi e procedendo alla distruzione dei tunnel ancora utilizzati da Hamas.

Tre spunti di riflessione, prima di darvi la buonanotte (o il buongiorno, per chi leggera questo punto nave solo domani):

1) Parliamo di un’operazione militare tanto ambiziosa quanto rischiosa. Israele sente di non avere alternative alla resa dei conti finale. Il rischio è quello che alla condanna internazionale per le condizioni della popolazione civile di Gaza si aggiunga il pantano militare. Traduzione: ci troviamo dinanzi a un all in dall’esito non scontato.

2) Attenzione al fronte interno: la decisione del gabinetto israeliano comporta la mobilitazione di 70.000 riservisti, la maggior parte dei quali ha prestato servizio per più di 300 giorni dagli attacchi del 7 ottobre. Durante la fase di pianificazione, le IDF si sono dette preoccupate che il 30-50% di questi uomini e donne non si presenti alla chiamata. Senza dimenticare che la maggior parte delle famiglie degli ostaggi israeliani si oppone con veemenza all'operazione, temendo che costi la vita dei loro cari. Nuova tradizione: Israele rischia una nuova, pericolosa, spaccatura all’interno della propria società.

3) Occhio alla reazione dell‘amministrazione americana. Trump è imprevedibile per definizione. E al di lá delle dichiarazioni di facciata non ama Netanyahu. Il viaggio in Medio Oriente ha poi restituito l’impressione di un Israele più isolato, quanto mai esposto alle maree degli umori di Trump. Ultima traduzione: Bibi cammina in equilibrio su un filo sottilissimo. Ne riparleremo senz’altro.

Vi lascio con il solito promemoria. Cercare di coprire così tanti fronti comporta molti sacrifici e rinunce a livello personale. Per chi apprezza il mio impegno, l’invito è a iscriversi al Blog:

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Vi ringrazio.

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