Per promuovere un turismo di qualità, capace di generare vero sviluppo per i territori, non bastano i tesori artistici e culturali, di cui l’Italia e in particolare la Sicilia sono ricchissime. Servono servizi adeguati, infrastrutture moderne, una gestione efficiente.
Non è pensabile costruire un’economia turistica evoluta se la rete ferroviaria resta ferma al secolo scorso, se i musei chiudono troppo presto o se si continua a registrare un generale livello di disservizi.
La Sicilia rappresenta un esempio emblematico di questa contraddizione. Le risorse economiche non sono mancate, ma a mancare è stata una classe dirigente capace di trasformarle in opportunità. È questo, senza mezzi termini, il senso della denuncia, tanto dolorosa quanto implacabile, che arriva dal critico d’arte Vittorio Sgarbi.
ARTE E CULTURA IN SICILIA
Di: @VittorioSgarbi
Sicilia 2025: bellezze senza servizi.
«Questa terra, questa sconfinata solitudine schiacciata dal sole è la Sicilia. Che non è soltanto il ridente giardino di aranci, ulivi e fiori che voi conoscete o credete di conoscere. Ma è anche terra nuda e bruciata. Muri calcinati di un biancore accecante, uomini ermetici dagli antichi costumi che il forestiero non comprende. Un mondo misterioso e splendido di una tragica ed aspra bellezza».
Si apriva così, con questa icastica premessa, il celebre film “In nome della legge” di Pietro Germi, realizzato nel 1949.
Pochi giorni fa, rivedendolo, mi sono chiesto se quell’incipit, che con grande sintesi offriva una fotografia esemplare dell’Isola, possa oggi essere d’attualità. Me lo chiedo ora che questo giornale mi chiede una riflessione su «Arte e cultura in Sicilia».
Ebbene, non parlerò di arte (le pietre millenarie dei templi sono sempre lì, e così castelli normanni, borghi medievali, capolavori d’arte). E non parlerò di cultura (spesso impropriamente evocata o, peggio, sfoggiata, in una forma di autocompiacimento che non muove una foglia).
Parlerò della Sicilia del 2025 che – chiaramente è una provocazione – evoca quella di Germi, «un mondo misterioso e splendido di una tragica ed aspra bellezza», ma con gli stessi problemi di sempre.
I numeri, spesso, sono l’argomento più convincente. E così, ipotizzando che un turista tedesco, dopo alcuni giorni tra Trapani, le Egadi, Marsala, Selinunte e Segesta, decida di raggiungere Noto (sito Unesco) scoprirà che in treno sono 7 ore con 5 cambi (di cui almeno 2 in bus). Per circa 400 chilometri. In Spagna, solo per avere un’idea, da Madrid a Siviglia, distanti 600 chilometri, il treno impiega 2 ore e 40 minuti. Oggi si arriva da Londra a Catania con un volo aereo che costa 50 euro, ma se ne spendono 200 per un trasferimento in auto a Noto. L’arte e la cultura, e quindi il turismo, hanno bisogno di servizi. E con costi accessibili.
Quando, a cavallo tra il ‘700 e l’800, i viaggiatori francesi, tedeschi e inglesi, si avventuravano nel Grand Tour per spingersi fino a Taormina, Catania e Siracusa, si muovevamo forse più agevolmente con carrozze e cavalli. Faccio ricorso al paradosso per dire che la Sicilia (ma lo stesso discorso vale per la Sardegna, per l’Umbria, le Marche, la Basilicata, la Calabria, luoghi con un grande patrimonio storico, artistico e architettonico) ha in larga parte un problema di “praticabilità” per i turisti (parola orrenda: preferisco viaggiatori).
La politica fatica a cambiare le cose. Io stesso, nei pochi mesi da assessore ai beni culturali, ho toccato con mano cosa siano burocrazia, norme anacronistiche e una certa indolenza tutta siciliana. A cominciare dall’accesso a siti archeologici e musei. Vi pare possibile che a giugno, luglio e agosto, non sia possibile visitare i templi fino alle 22? Ciò che dovrebbe esser la norma viene proposto come “evento straordinario”. Le biglietterie chiudono alle 18 e alle 19.30, cioè al tramonto, il momento più suggestivo della giornata, i visitatori vengono accompagnati all’uscita.
Logica e buon senso non sono qui di casa. Non si potrà dire che manchino le risorse.
Proprio in Sicilia a breve - con «Agrigento Capitale Italiana della Cultura» per il 2025, e Gibellina quale prima “Capitale italiana dell’arte contemporanea” per il 2026 – si spenderanno alcuni milioni di euro di finanziamenti pubblici. L’impressione, tuttavia, è che si sia presa la strada sbagliata. Ad Agrigento, complici imbarazzanti ritardi, la logica del cosiddetto “evento” (altra parola orrenda) ha suggerito agli organizzatori di “bruciare” – così leggo su diverse testate regionali – quasi 300 mila euro per delle iniziative programmate in 3 giorni (100 mila euro al giorno).
A Gibellina molte opere d’arte sono in condizioni precarie e non si riesce ancora a capire se per gennaio 2026 il suo straordinario patrimonio artistico potrà essere mostrato in una cornice dignitosa. A cominciare dal «Cretto di Burri» (sulle rovine della vecchia Gibellina) dove alla data odierna non esistono i servizi più elementari (audioguide, materiale informativo, illuminazione notturna, segnaletica, servizi igienici, un punto di ristoro).
Insomma, nulla di nuovo sotto questa «terra nuda e bruciata dal sole». Vorrei anche scrivere «di una tragica ed aspra bellezza», ma mentre scrivo da qualche parte, una qualche multinazionale, sta cancellando anche oggi un pezzo del suo straordinario Paesaggio. In nome di un finto progresso fatto di pale eoliche e pannelli fotovoltaici.
https://t.co/4PkynUAsYA