L'ITALIA NON CONTA
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L'ITALIA NON CONTA

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IL CONTESTO

Oggi condividiamo una riflessione dell’onorevole Enrico Borghi. Di norma evitiamo di proporre tesi provenienti da singoli esponenti politici, perché vogliamo mantenere un ruolo terzo rispetto all’informazione.

Questa volta facciamo un’eccezione, ma con una precisazione importante.

Borghi indirizza la sua critica all’attuale Presidenza del Consiglio, guidata da Giorgia Meloni. Tuttavia, riteniamo doveroso sottolineare che lo stesso limite è appartenuto anche ad altri capi di governo del passato, espressione di schieramenti politici diversi.

La critica, quindi, non è rivolta a una parte politica in particolare, ma a un approccio.

In politica estera serve affidabilità. Senza affidabilità si resta fuori dai tavoli che contano. Non si può fare politica estera attraverso operazioni mediatiche, cercando un colloquio con qualcuno – come nel caso della Meloni con Donald Trump – solo per ottenere visibilità.

Il punto è un altro, più profondo: l’Italia, nel suo insieme, non è percepita come un paese affidabile. E lo dimostra il fatto che, nei contesti decisivi, alla fine, veniamo sempre esclusi.

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IL CONTENUTO ORIGINALE

Di: @EnricoBorghi1

       

Possiamo anche appellarci a uno sciovinismo un chiave italica ed accusare Merz e Macron di aver complottato per escludere Giorgia Meloni dai dossier europei che contano. Ma la realtà è un’altra, e ben più scomoda: il governo italiano paga il prezzo della propria ambiguità, dell’incertezza strategica e dell’incapacità di scegliere una linea chiara su dossier fondamentali come integrazione europea, industria comune e difesa. Non ci si può proporre come l’ambasciatrice di Trump in Europa e, allo stesso tempo, pretendere poi di essere considerati protagonisti nei tavoli decisivi dell’Unione. Serve coerenza, visione, credibilità. Oggi l’Italia, semplicemente, con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi -con buona pace delle fanfare- non ce l’ha. E se c’è un asse che si sta formando insieme a quello tra Parigi e Berlino, non c’è certo con Roma, ma con Varsavia. E sguardo su Londra.

Gli strumenti per contare davvero ci sarebbero. Francia e Germania hanno siglato il Trattato di Aquisgrana, su cui fondano la loro cooperazione rafforzata anche in ambito militare. Italia e Francia, a loro volta, hanno firmato il Trattato del Quirinale durante il governo Draghi. Un’intesa che prevede forme simili di collaborazione, ma che è rimasta lettera morta. Non per colpa di Parigi, ma per la mancanza di volontà politica a Roma. Ed è qui che emerge la vera fragilità di Giorgia Meloni: una premier che sul piano interno si blinda dietro una propaganda ossessiva, ma che in Europa risulta evanescente, poco credibile, incapace di incidere.

Meloni può anche continuare a gongolare per gli applausi e gli interventi ossequiosi e talvolta nordcoreani della sua maggioranza ogni volta che si parla di politica estera, ma il vertice di ieri tra Merz e Macron certifica una volta di più la sua irrilevanza nei processi decisionali europei. E questo proprio mentre l’industria bellica europea si prepara a una fase nuova, a un’accelerazione che seguirà le scelte della NATO nelle prossime settimane. In quel contesto, continuare a restare ai margini non sarà solo un errore politico: rischia di diventare un danno strategico per l’Italia.


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